
“L’inferno sono gli altri”. La frase più famosa del filosofo Jean-Paul Sartre evoca una condizione dell’essere umano per cui le persone vicine - siano esse il partner, i parenti, i colleghi, gli amici - sono percepite come l’origine del proprio dolore. Ma l’Inferno può essere davvero "l’altro da sè"?
Non si vuole entrare nel merito del pensiero del filosofo ma solo prendere in prestito il celebre motto per proporre un cambio dell'angolo di visuale da cui guardare la questione. L’Inferno, inteso come la sofferenza intima e personale, è sempre figlio del bisogno che ciascun individuo sperimenta di fronte all’altro, bisogno che spesso non si vede o non si conosce in pieno perché è relegato fuori dalla coscienza, ma che non per questo rinuncia a ricercare costantemente la sua realizzazione, a volte esponendo alla frustrazione che è fonte di dolore.
Riconoscere la propria richiesta inconsapevole, che si rivolge tacitamente ma continuamente a chi ci sta accanto, ci libera dalla “proiezione”, dall’attribuire cioè all’altro le cause della nostra condizione, restituendoci il potere vitale dell’autodeterminazione e della trasformazione personale. E per chi vive la relazione affettiva nella piena consapevolezza di sè stesso, l’incontro con l’altro cessa di essere un tormento infernale, per avvicinare a quel senso di benessere che può schiudere le porte del Paradiso.